Di Antonella Soldo
Forse non è il momento di parlarne, o forse è proprio quello giusto. La crisi economica che sta accompagnando l’emergenza coronavirus e che inevitabilmente avrà conseguenze nei mesi a venire nel nostro Paese, richiederà risposte strutturali. E che sia la volta buona che il tema della legalizzazione della cannabis possa essere affrontato in modo serio e responsabile, e considerato per quello che è: un’opportunità di creare nuove imprese e posti di lavoro, e di sottrarre potere economico alle mafie.
Secondo la Direzione nazionale antimafia il mercato delle droghe in Italia vale 30 miliardi all’anno. Profitti che ogni anno verrebbero reinvestiti – riciclati – in buona parte in attività economiche legali. I narcotrafficanti sono già oggi tra i maggiori azionisti dell’economia lecita che opera alla luce del sole. 30 miliardi è quanto vale l’intera produzione agricola nazionale, e quasi la metà dell’intera filiera del settore automobilistico italiano. Questo significa che le mafie investono nel mercato legale, mettendo a rischio la concorrenza e gli assetti stessi delle democrazie liberali.
E questo è ancor più minaccioso in un momento di fragilità come quello che stiamo attraversando, con le borse a picco. Il rischio è quello di ritrovarci in un sistema nel quale i beni e i servizi che acquisteremo, i supermercati dove andremo ogni giorno, i ristoranti in cui ceneremo, il lavoro che avremo, saranno in larga parte forniti dall’emanazione di associazioni criminali. La cannabis è la sostanza stupefacente meno pericolosa, e il suo uso massivo – sono almeno 6 milioni gli italiani che la consumano – è paragonabile ad alcol e tabacco.
Legalizzarla sarebbe un atto di buonsenso che gioverebbe notevolmente alla nostra economia. Le stime sono differenti, trattandosi di un fenomeno sommerso, ma dalla legalizzazione avremmo un gettito fiscale di almeno 3 miliardi di euro annui (come riferito dal Prof. Marco Rossi, uno dei maggiori esperti in materia, in commissione Giustizia alla Camera solo poche settimane fa). Alle entrate fiscali derivanti dalla riscossione delle imposte sulle vendite, andrebbero aggiunte le entrate fiscali derivante dalle imposte sul reddito degli addetti al settore (sempre secondo le stime del prof. Rossi sarebbe di circa 1,5 miliardi annui il gettito Irpef per l’impiego di circa 350 mila lavoratori tra stagionali e personale di coffee shop).
A queste cifre vanno aggiunti, infine, i risparmi che lo Stato ricaverebbe dalla repressione. La cannabis, infatti, non solo è la sostanza meno pericolosa ma è anche, paradossalmente la più perseguita (un dato solo: riguarda ben il 96% dei sequestri). La repressione del mercato della cannabis costa almeno 600 milioni all’anno tra spese per forze di polizia, processi e carceri. Insomma, possiamo fare di un momento di difficoltà l’occasione per fare una scelta coraggiosa, utile per la giustizia e anche per l’economia del nostro paese? Dovremmo proprio. E non abbiamo molto tempo per pensarci.