L’erba del vicino è sempre più verde.
Chi più di noi, appassionati di cannabis, rischia di cadere vittima di questo preconcetto infondato?
Sento spesso ripetere che i Paesi esteri che hanno legalizzato sono più civilizzati, più moderni, più democratici, con una classe politica migliore, con una cittadinanza più istruita e liberale, e così via.
Come se per loro fosse stato tutto facile. Come se loro non avessero dovuto conquistarsi la legalizzazione con le unghie e con i denti. Come se la cannabis legale fosse un concetto che, ancora oggi, non avesse detrattori ed accaniti oppositori. Non è così. Non è andata così.
Ancora una volta vorrei dimostrarvelo partendo dalle mie esperienze dirette in quei luoghi. Se è vero che gli stati della costa ovest statunitense sono tra quelli più liberali ed a prevalenza Democratica, ciò non significa che una larga parte della popolazione non sia molto conservatrice, con tendenze proibizioniste e voti convintamente Repubblicano.
Nella parte sud dell’Oregon ad esempio, la regione di cui tanto vi ho parlato, le coltivazioni di cannabis coesistono che le altre tre attività produttive prevalenti in quell’area: l’allevamento di bestiame, la viticoltura e la produzione di legname, che sono ben più radicate e ben più floride della recente industria della cannabis.
Chi opera in questi settori è tendenzialmente conservatore ed i proprietari delle aziende sono spesso estremamente facoltosi e con ottimi agganci politici.
L’atteggiamento di questi nei confronti della legalizzazione, e di chi ha investito ed opera in questo settore, è di grande diffidenza ed ostilità e ciò ha di frequente anche risvolti politici, soprattutto a livello locale.
Non è raro, ad esempio, vedere i governi delle Contee (lo Stato è ulteriormente suddiviso in Contee, paragonabili alle nostre Provincie ma con molta più sovranità ed autonomia) varare norme che vanno palesemente a discapito dei coltivatori di marijuana, come tassazioni più elevate sulla vendita delle infiorescenze, controlli severissimi nelle piantagioni o limiti all’impiego dei
lavoratori stagionali.
Anche in Oregon il percorso politico che ha portato alla legalizzazione è costellato di fallimenti e battute d’arresto, come referendum popolari persi e proposte di legge bocciate, ed ha richiesto decenni di instancabile lavoro da parte di attivisti, imprenditori e politici.
Lo ripeto: non è stato facile e la lotta per conservare il diritto di coltivare prosegue giorno dopo giorno.
Ciò che colpisce in quei luoghi, è invece lo straordinario sentimento di unità e di solidarietà che contraddistingue l’intero popolo della cannabis (i cosiddetti Pothead). La comunità reagisce a questi continui attacchi in maniera granitica. A livello locale, confluendo in associazioni territoriali, in cooperative di coltivatori e candidando i propri rappresentanti alle elezioni comunali, e a livello nazionale, con una instancabile attività di lobbying istituzionale e vivaci campagne di sensibilizzazione mediatica.
Questa sentimento unitario è percepibile anche nelle iniziative e nella stretta cooperazione che esiste tra coltivatori ed imprenditori nelle medesime aree rurali: feste, fiere, mercatini, concerti, tutto finalizzato a rafforzare il senso di comunità ed il clima di mutuo soccorso. Ed è questo l’unico ambito nel quale noto una netta differenza con l’Italia.
Ho la sensazione infatti che questo percepirsi come un’unica entità manchi del tutto nel nostro Paese. Troppo spesso, personalismi, protagonismi, vecchie ruggini e faide interne dividono ed indeboliscono il fronte della cannabis rendendo irraggiungibile l’obiettivo finale, e l’ostinarsi al non voler dare alle istanze antiproibizioniste un colore politico ci priva di quel terminale istituzionale senza il quale vincere questa battaglia non sarà possibile
La legalizzazione insomma non bisogna solo guadagnarsela, ma bisogna anche meritarsela.