Il 25 Gennaio 2022 la Thailandia è diventato ufficialmente il primo paese asiatico a legalizzare la coltivazione di cannabis per uso domestico e personale, dopo averla legalizzata nel 2018 per uso terapeutico e con finalità di ricerca.
Sotto la nuova legge le persone potranno coltivare a casa la pianta più ricercata del mondo, previa notifica al governo locale di competenza: la mancanza di segnalazione, apprendiamo dai giornali locali, sarà punita con multe considerevoli, così come la vendita potrà essere punita con una multa e tre anni di carcere.
Questa è la base su cui andranno disegnati provvedimenti aggiuntivi: il Ministro della Sanità ha fatto sapere che entro la settimana provvederà a dare nuove linee guida rispetto alla produzione, il commercio e l’uso ricreativo.
La Thailandia, con la sua ancora vigente monarchia, diventa quindi una mosca bianca in un contesto asiatico in cui vige ancora la pena di morte nella maggior parte dei paesi, e dove sono gli stessi reati relativi alle sostanze stupefacenti che causano il maggior numero di restrizioni di libertà e pene capitali. Se analizziamo il contesto sociale e culturale, insieme alla storia di questo paese, vediamo come ci sia stata una presa di coscienza rispetto ai danni causati dal proibizionismo: ricordiamo che dal 2003 al 2006 c’è stata nel paese una sanguinosa guerra alla droga, con gravi ripercussioni per le minoranze etniche.
I risultati però come tutte le guerre alla droga sono stati disumani, con omicidi extragiudiziali da parte della polizia e liste nere che hanno mosso le critiche degli organi internazionali, tra cui il Comitato dei Diritti Umani dell’ONU.
Quella repressione non aveva ridotto né il traffico né il consumo di droghe nel paese.
Oggi in un paese come la Thailandia è ancora possibile essere condannati con la pena di morte o l’ergastolo se si è trovati in possesso con più di 20 grammi di una sostanza di qualsiasi tipo; vero è che questa tipologia di pena non viene applicata da anni, e sono in atto pensieri di riforma relativi all’eliminazione totale della pena capitale.
L’importanza di questa legalizzazione la troviamo anche qui nei dati relativi alle carceri: l’Internacional Drug Policy Consortium (IDPC) indica come tra il 70% e l’80% dei detenuti è legato ad un reato relativo alle droghe, ma la maggior parte delle persone recluse sono piccoli spacciatori o consumatori; forse per questa presa di coscienza nell’estate del 2021 il parlamento ha approvato il ‘New Narcotic Bill’, una nuova legge sugli stupefacenti che aumenta l’attenzione sulla prevenzione e il trattamento invece che sulla punizione dei consumatori, che ha creato fino ad oggi un sovraffollamento delle carceri con la conseguenza di vivere in condizioni di vita degradanti senza reali possibilità di recupero.
Oggi si può scrivere l’inizio di una nuova ma vecchia storia: i ricercatori infatti rilevano come la cannabis sia arrivata dall’India alla Thailandia, per questo l’uso del nome ‘ganja’ comune a tutti e due i popoli, e poi usata largamente per i vari usi che oggi conosciamo: dall’alimentare al tessile passando per le cure mediche. Insomma, fino agli anni ’30 era una pianta di tradizione popolare poi repressa sulla scia di ciò che accadeva negli Stati Uniti. Oggi la storia sta cambiando, grazie anche ad un cambio di passo iniziato nel 2016 dovuto al precedente Ministro della Giustizia Paiboon Koomchaya, che dichiarò fallite le politiche repressive sulle sostanze e aprì a strategie differenti.
Adesso non resta che aspettare 120 giorni per vedere sulla ‘Royal Gazette’ la pubblicazione del provvedimento.