Che sia indoor oppure outdoor, in una growbox nell’armadio o in terrazzo alla luce del sole, la coltivazione domestica di Cannabis è una pratica che da sempre appassiona consumatori, grower e cultori di botanica.
Ma in Italia è consentito farlo?
No, stando alla legge.
Ma, come spesso avviene con le nostre leggi, il discorso è un po’ complesso: andiamo ad analizzare nel dettaglio la situazione.
Coltivazione domestica di Cannabis: cosa dice la legge
Come sempre, per rispondere dobbiamo rifarci alla Iervolino-Vassalli, la legge sulla cannabis che identifica nella coltivazione non autorizzata un reato al pari dello spaccio.
La pena per la coltivazione di Cannabis va dai sei ai venti anni, cui si aggiunge una multa da 26.000 a 260.000 euro. Sulla carta, non c’è dunque differenza tra un coltivatore e uno spacciatore. Stesso discorso anche per l’hashish, che rappresenta una lavorazione successiva delle infiorescenze.
Ma è qui che le cose si complicano.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una sentenza del 2019, hanno infatti stabilito che le attività di coltivazione “che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore” non possono essere considerate reato.
Tradotto: coltivare poche piante, con mezzi non industriali e al solo fine di soddisfare il proprio fabbisogno, non sarebbe un crimine.
C’è un problema non da poco, però: la Corte di Cassazione non è il Parlamento. Se la prima può suggerire come interpretare una norma, solo il secondo ha il potere di modificarla.
A questo punto è facile intuire le conseguenze. Nonostante la legge non sia ancora stata cambiata, sempre più processi si concludono con un’assoluzione, creando di fatto una spaccatura fra Parlamento e tribunali. Ciò purtroppo non evita a tantissimi cittadini di vedersi imputati e in molti casi giudicati colpevoli, spesso con tanto di foto e nomi sui quotidiani locali.
In aggiunta, la Iervolino-Vassalli non crea distinzioni penali in base alla grandezza della coltivazione.
Insomma, non importa se si tratti di una piantina di canapa o di una piantagione: possiamo dire che chi semina ganja raccoglie un processo!
Coltivazione domestica di Cannabis in Italia: come funziona
Abbiamo dunque tracciato un quadro generale di cosa dica la norma e delle possibili conseguenze.
Ma per quanto riguarda i semi di Cannabis?
In base a quanto abbiamo appena detto, sorprenderà a questo punto scoprire che in Italia la vendita e l’acquisto di semi è del tutto legale! I semi, poiché privi di principio attivo, non sono infatti inclusi nelle tabelle delle sostanze stupefacenti, ed è perciò possibile metterli in commercio.
A questo punto il dubbio sorge spontaneo: se non è consentito coltivare, a cosa serve la compravendita di semi?
Ebbene, bisogna sapere che il solo utilizzo autorizzato è l’utilizzo collezionistico. Una grande contraddizione che ha contribuito a creare ulteriore confusione.
All’interno di questo quadro già abbastanza complicato non dimentichiamo infine che la legge del 2016 ha garantito la possibilità di coltivare Cannabis legale (la “Cannabis light”, per intenderci). Il problema è che distinguere a occhio nudo la presenza dei principi attivi è un’impresa impossibile.
Risultato: nonostante sia lecito, l’ipotesi più concreta è sempre quella del sequestro, in attesa di esami ed accertamenti sulle infiorescenze.
Quante piante di cannabis si possono coltivare per uso personale?
Non può essere coltivata nessuna piantina di cannabis contenente una quantità di THC maggiore di 0,5% anche se per uso personale. Il discorso è diverso per le piantine che contengono una quantità legale di THC. Se si rispettano tutte le norme, la coltivazione di piantine ad alto contenuto di CBD (e basso di THC) è possibile.
Chi può coltivare cannabis?
Solo l’Esercito Italiano può coltivare cannabis con una quantità di THC superiore allo 0,5%, e solo per scopo medico. Potrà sembrare strano ma è proprio così. Dal 2014 la produzione di cannabis per scopo medico, e quindi con un THC superiore allo 0,5% è passata nelle mani dello Stato, per la precisione nelle mani dell’esercito. La produzione di farmaci derivati dalla cannabis è stata trasferita in Italia a causa dell’eccessivo costo che aveva l’import dall’estero.
Il futuro dell’autoproduzione di Cannabis in Italia
Senza dubbio, il destino dell’autoproduzione in Italia sembra vincolato a una riforma generale.
Tuttavia, la scorsa legislatura ha visto la coltivazione domestica al centro dell’impegno e delle mobilitazioni del movimento antiproibizionista, a partire dal ddl Magi-Licatini, che avrebbe consentito di depenalizzare la coltivazione fino a quattro piante.
Discorso simile anche per quanto riguarda il Referendum Cannabis, che avrebbe abrogato il reato di coltivazione.
Accanto a ciò, vanno segnalate le iniziative di disobbedienza civile, come #IoColtivo, organizzata da Meglio Legale, che ha visto la partecipazione di oltre 2500 persone, fra cittadini e politici.
Non dimentichiamo, in conclusione, che il numero dei growers italiani è stimato attorno alle centomila unità: numeri importanti, sintesi dell’inefficacia della proibizione.
Conclusione
Riassumendo:
- No, non puoi coltivare canapa con THC oltre i limiti consentiti, ma farlo per garantirsi il sufficiente quantitativo di Cannabis per uso personale potrebbe non essere considerato un reato.
- Sì, puoi acquistare semi, ma non puoi farli germogliare.
- No, la grandezza della coltivazione non è un aspetto determinante.
- Sì, puoi coltivare Cannabis ad alto contenuto di CBD, ma rischi di finire davanti a un giudice per dimostrare che si tratta di Cannabis legale.
Insomma, sarà a questo punto evidente come la legge sia incoerente e piena di lacune, nonché affidata a un’eccessiva discrezionalità, sia da parte delle forze dell’ordine che dei giudici.