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Canapa Caffè

Canapa Caffè è stata assolta: l’intervista a Carlo Monaco

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Dopo sette anni di processi, per Carlo Monaco e Luigi Mantuano di Canapa Caffè la verità è stata finalmente stabilita.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Carlo Monaco, presidente dell’associazione.


Partiamo dall’inizio: come comincia il tuo percorso con la Cannabis?

Come molti adolescenti, il primo contatto con la Cannabis è stato veicolato dal consumo sociale e ricreativo, anche se, fin dal primo momento, ho notato come i prodotti provenienti dal mercato nero avessero su di me effetti negativi. Ho cominciato allora a documentarmi, iniziando anche a coltivare, pratica ormai consolidata nella mia vita da circa venti anni.
Nel 2005, mi viene diagnosticata l’anoressia nervosa. A quel punto le mie ricerche si sono intensificate, anche in virtù del decreto Turco, approvato nel 2007, il quale riconosceva l’efficacia delle proprietà terapeutiche della Cannabis.
Nel 2011, mentre vivevo in Spagna, venivo seguito da un medico che mi fece abbandonare qualsiasi altro tipo di cura, legata agli psicofarmaci: la mia cura consisteva nella possibilità di avere a disposizione diverse varietà di Cannabis.

Parliamo perciò di una fase storica caratterizzata da grande arretratezza in merito alla ricerca sugli utilizzi terapeutici della Cannabis. Ciò come ha influito, per quanto riguarda la tua esperienza?

Nel 2008 subisco il primo processo, per possesso di 124 grammi. All’epoca già coltivavo.
Nel corso delle udienze, la svolta venne fornita dalla testimonianza di un medico, che attestò il fine terapeutico alla base del mio consumo di Cannabis. Alla fine venne stabilita una condanna di cinque mesi con la condizionale, per il reato di “coltivazione”.
Ricordo perfettamente le parole del giudice, che disse che se mi fossi rivolto al mercato nero, piuttosto che coltivare, non sarei stato condannato.
Una storia, purtroppo, troppo comune, in particolare ai tempi della Fini-Giovanardi.

E veniamo così all’ultimo processo, che ha visto imputati te e Luigi Mantuano, fondatori del Canapa Caffè, associazione romana che mira a fare opera di divulgazione sulle proprietà mediche della Cannabis.

Tutto inizia a Giugno 2016, quando finalmente ottengo la prima importazione di Bedrocan tramite Asl.
Pochissimi giorni dopo, presenzio a un evento sul tema organizzato a Montecitorio da Vittorio Ferraresi, allora membro della Commissione Giustizia della Camera, come segretario di Canapa Info Point, avendo già annunciato sui social l’apertura del Canapa Caffè.
All’uscita, dopo aver raggiunto Luigi, sono stato fermato da una volante, che ci stava seguendo sulla Tuscolana. La perquisizione ha dato come esito qualche grammo di Cannabis da noi consegnata, la mia legalmente ottenuta tramite Asl.
Da subito abbiamo spiegato le problematiche di accesso alla Cannabis a fine medico, ma ciò non ha impedito una successiva perquisizione notturna nelle nostre case, e a casa dei miei genitori ultrasettantenni. Avendo trovato una pianta, il bilancino e diversi barattoli la mia accusa fu di produzione e spaccio. Inoltre, poiché io ero alla guida e le analisi tossicologiche diedero esito positivo, si è aggiunta la sospensione della patente.
Ora, dopo sette anni di iter giudiziario, siamo finalmente riusciti a ristabilire la verità, cosa che offre un ulteriore stimolo a portare avanti le finalità dell’associazione.

Cosa significa farsi portavoce di queste istanze, in un contesto come quello italiano?

È stato, ed è tuttora, un percorso molto arduo, iniziato nel 2013, quando ho cominciato a fare attivismo antiproibizionista. Nonostante, a distanza di anni, come Canapa Caffè siamo riusciti a essere inseriti all’interno del tavolo tecnico istituito nel 2021 da Andrea Costa, ex sottosegretario alla Salute, devo ammettere che il dialogo finora portato avanti è stato insufficiente e infruttuoso.
In tantissime occasioni non siamo nemmeno stati interpellati, come nel caso del recente decreto di Schillaci sugli estratti di CBD a uso orale.
Non dimentichiamo, in aggiunta, che il Governo non ha ancora incaricato il nuovo responsabile dell’ufficio Centrale Stupefacenti, lasciando vacante la carica. Concludo dicendo che l’autonomia legislativa delle singole regioni, sancita dal decreto Lorenzin del 2015, genera problematiche e disparità territoriali.
Nel caso del Lazio, la legge, approvata nel 2017, non ha ancora visto un’applicazione omogenea, sebbene, grazie al lavoro degli attivisti, dal 2018 la lista di patologie curabili con la Cannabis è stata estesa a tutte le patologie previste dal decreto Lorenzin DM 9/11/2015.

Quali sono le principali problematiche che hai dovuto affrontare in quanto paziente?

Nel mio caso, nonostante sia seguito da diversi medici specialisti anche in ambito ospedaliero, non ho ancora un vero e proprio piano terapeutico, sia per problemi burocratici che per le poche varietà di Cannabis medicinale disponibili in Italia.
Negli ultimi anni purtroppo mi è stata diagnosticata la fibromialgia, per la quale nel 2019 sono entrato in terapia del dolore dove ho ottenuto solo alcune erogazioni parziali nel 2020 e 2021, circa 200 g in totale. Da due anni non ottengo più nulla nonostante continui a lottare per quello che è un mio diritto. In ambito ospedaliero, le erogazioni sono state poche, nonché caratterizzate da quantitativi ridotti. Il risultato è che, nel Lazio, pochissimi delle migliaia di pazienti stimati sono in grado di accedere a questa terapia, se non a pagamento.
Occorre poi evidenziare che la terapia farmacologica a base di cannabinoidi rappresenta ancora un tabù per gran parte degli specialisti nel pubblico, cosa che si pone come uno dei principali elementi di problematicità.

In conclusione, quali sono le azioni che, in quest’ambito, credi occorra intraprendere?

Ora il mio chiodo fisso è ottenere nel Lazio un’erogazione ospedaliera che sia garantita, soddisfacente e in linea con le altre Regioni. Per questo serve una fondamentale operazione di formazione di medici e tecnici.
Allo stesso tempo, è necessario che la tematica venga portata avanti a livello istituzionale, a cominciare da un’effettiva riattivazione del tavolo tecnico: l’autoproduzione personale resta l’unica soluzione per molti pazienti.
Ma, perché la Cannabis a fine terapeutico funzioni, da anni vorrei anche sbloccare l’arrivo di tutti i prodotti di cannabis disponibili già in Europa, oltre al Bedrocan, e ottenere le autorizzazioni per progetti sperimentali di produzione e sperimentazione che ho con alcune importanti Università italiane.

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