Questa settimana vorrei affrontare con voi un discorso spinoso ma necessario, sempre partendo dalle mie esperienze dirette nel mercato statunitense della cannabis.
Secondo alcune ricerche pubblicate l’anno scorso da alcuni quotidiani autorevoli, il solo Stato dell’Oregon, nel corso della stagione 2018, ha prodotto un surplus di marijuana pari a più del doppio del proprio fabbisogno nazionale.
A questo punto quindi è lecito chiedersi: a chi è destinata una così ingente sovrapproduzione?
Se è vero che una parte di questa eccedenza è giustificata dalle esportazioni di infiorescenze, la vera risposta è una ed è semplice: al mercato nero.
Infatti, chiunque sia convinto che basti legalizzare una qualsiasi sostanza per cancellarne completamente il traffico illecito si sbaglia di grosso e pecca di ingenuità. La questione è, come spesso capita, molto più complessa di così.
Durante gli anni trascorsi nel triangolo di smeraldo ho visto coi miei occhi quantità ingenti di cannabis venduta sottobanco, confezionata sottovuoto e nascosta in doppifondi di furgoni, camion o in finte cassette degli attrezzi. È un fatto, e non deve essere sottovalutato.
Ciò che però è importante chiedersi ed è utile analizzare è: dove è destinato principalmente questo commercio illegale?
La stragrande maggioranza della cannabis che ho visto contrabbandare era destinata ad altri Stati americani dove ancora non è legale, spesso Stati limitrofi all’Oregon come Idaho e Utah, dove le leggi vigenti sono ancora pesantemente proibizioniste, ancor più spesso destinata ad alcuni Stati della east coast, dove un grammo di cannabis può essere tranquillamente spacciato in strada al decuplo del suo prezzo d’acquisto all’ingrosso in Oregon.
Questo dato oggettivo però ci insegna una cosa importante: ovunque ci sia proibizionismo c’è spazio per l’illegalità. È il divieto in quanto tale a creare un mercato redditizio e a rendere il traffico allettante. Per sradicare radicalmente il contrabbando di una qualsiasi sostanza la legalizzazione dev’essere sistemica, non può essere a macchia di leopardo. Nel caso degli Stati Uniti, quindi, questo fenomeno vedrà una fine solo quando la cannabis verrà legalizzata in tutti e 51 gli Stati.
Con questo però non voglio assolutamente dire che legalizzare non abbia avuto nessun effetto sul crimine organizzato. Anzi, è sempre vero il contrario.
La presenza, in un grande Stato produttore come l’Oregon, di mafie e grandi cartelli criminali è minimale e circostanziata alle sole grandi città. La totalità delle persone che ho visto esportare illegalmente cannabis erano infatti “pesci piccoli”, lavoratori o studenti disposti ad accollarsi il rischio di trasportare illegalmente pur di guadagnare belle somme di denaro in un’unica soluzione.
Le statistiche ci dicono chiaramente che negli Stati americani che hanno legalizzato la mole del mercato clandestino si è talmente ridotta da non essere più appetibile per le grosse organizzazioni criminali i cui traffici richiedono ingenti investimenti di capitale.
Ci sono poi moltissimi produttori locali che vendono volentieri, all’ingrosso ed in nero, discrete quantità di marijuana a grossi consumatori che, al termine della stagione del raccolto, affollano le zone di produzione più famose per acquistare, a buon mercato, la loro medicina, evitando i prezzi “gonfiati” del mercato legale e dei dispensari. Questo è un altro fenomeno endemico che ho potuto osservare ovunque io sia stato.
Occorre precisare però che, proprio grazie alla legalizzazione, la fattispecie di questo reato non è più penale, ma si tratta di semplice evasione fiscale, che viene contrastata coi mezzi e nei modi previsti dalle vigenti leggi locali.
Non è tutto ore (verde!) quello che luccica quindi, ma legalizzare resta qualcosa i cui benefici surclassano di gran lunga le “zone grigie”, uno straordinario progresso economico e sociale nonchè l’unico approccio possibile e sensato per affrontare il problema del traffico illegale di sostanze stupefacenti.