Il CBD non è uno stupefacente

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Di Riccardo Giorgio Frega

Il CBD non è una sostanza stupefacente. È quanto sancito da una nuova e importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire come siamo arrivati a questo pronunciamento proprio in un momento storico in cui tutto il settore della cannabis light in Italia è minacciato, da ultimo dalla esplicita intenzione del Ministero della Salute di voler tabellare l’olio di cannabidiolo come medicinale stupefacente.

Tutto nasce da un procedimento penale avviato nei confronti di due imprenditori francesi titolari di una azienda che importa, commercializza e distribuisce olii a base di CBD per sigarette elettroniche. Secondo le leggi vigenti in Francia questa attività è lecita solo nel caso in cui gli estratti commercializzati siano derivati esclusivamente dalle fibre e dai semi della pianta di canapa. I due imprenditori invece, che non sono produttori diretti ma semplici rivenditori, importano il CBD necessario alla loro attività dalla Repubblica Ceca, che estrae legalmente il principio attivo utilizzando la totalità della pianta, foglie ed infiorescenze comprese, e per questo motivo vengono condannati dal tribunale di Marsiglia a pene detentive di 18 mesi e a 10.000€ di multa. A questo punto un interrogativo sorge spontaneo: è lecito che una nazione europea vieti esplicitamente la rivendita di un prodotto legalmente realizzato ed esportato da uno degli Stati membri dell’Unione? È precisamente questo il punto sul quale si è focalizzato il ricorso presentato alla Corte d’Appello di Aix-en-Provece, che per dirimere la questione ha chiesto un parere interpretativo alla Corte di Giustizia Europea.

La sentenza, arrivata nelle scorse ore, è rilevante perché, oltre a stabilire che anche per il CBD valgono le disposizioni sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione, afferma che la determinazione di “sostanza stupefacente” è soggetta alle definizioni contenute nella Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 e nella Convenzione sulle sostanze psicotrope delle Nazioni Unite del 1971. Il cannabidiolo non viene esplicitamente menzionato in nessuna di queste due normative, il cui fine dichiarato è quello di tutelare salute e benessere dell’umanità. La Corte rileva quindi come non vi siano evidenze scientifiche che il CBD – a differenza del THC, l’altro cannabinoide contenuto nella cannabis – abbia effetti psicotropi e rappresenti un rischio per la salute dell’individuo.

Questa sentenza rappresenta un precedente importante perché rafforza lo status legale del CBD come principio attivo non drogante. Qualora, quindi, il ministro Speranza decida di proseguire sulla strada dell’inserimento del cannabidiolo nella tabella dei medicinali del testo unico stupefacenti (il decreto al momento è stato sospeso) il pronunciamento della Corte di Giustizia europea rappresenterà senz’altro uno dei capisaldi delle inevitabili e conseguenti azioni legali per ottenerne l’annullamento.  

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