Se anche il diritto alla salute diventa una lotteria

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Dopo la sospensione del decreto Schillaci da parte del Tar del Lazio, e in attesa della discussione parlamentare circa l’emendamento al ddl sicurezza che vorrebbe vietare l’utilizzo delle infiorescenze di CBD, in questi giorni la Cannabis è tornata a fare notizia, a seguito della singolare iniziativa intrapresa dal Dipartimento per le dipendenze dell’Usl 2 della Marca Trevigiana, mirata, come riportato dal Corriere del Veneto, “a indurre i ragazzi tra 18 e 25 anni a disintossicarsi dalle droghe leggere”.

Come spiegato da Eva D’Incecco, direttrice del dipartimento per le dipendenze dell’Usl 2, il progetto ha finora reclutato una quarantina di adolescenti, sottoposti a cadenza settimanale al test delle urine per il rilevamento dei metaboliti del THC.
L’esito negativo dell’esame è compensato con un biglietto valido per una lotteria interna, con premi come monopattini e biciclette in palio.
I partecipanti sono inoltre suddivisi in un gruppo definito “di controllo” e in uno “di trattamento”
Per questo secondo gruppo è previsto un ulteriore incentivo, di natura economica: un buono del valore massimo di 250 euro, impiegabile per acquisti personali che, previa approvazione di un comitato etico, saranno effettuati dagli operatori dell’associazione Comunità Giovanile di Conegliano, comunità terapeutica residenziale esclusivamente dedicata al trattamento di minorenni. 
Fondata nel 1983 dal salesiano don Antonio Prai, la Comunità Giovanile attualmente risulta come unica struttura autorizzata dalla Regione all’accoglienza degli adolescenti inviati dai SerD.

L’iniziativa dell’Asl rappresenta senza dubbio un atto censurabile nella sua incuranza di alcuni dei principii medici basilari, e per il quale è opportuno avanzare una serie di obiezioni.

Secondo gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero della Salute, i nuovi utenti accedono ai servizi territoriali in maniera differenziata: se, infatti, il 45,7% degli ingressi in struttura avviene per accesso diretto o su richiesta di familiari e amici, il 7,4% è legato a invio dell’autorità giudiziaria, da altri servizi per le dipendenze (8,6%) o da altri servizi sanitari (9,1%).  
Facendo la somma, si tratta del 25%, ossia di un caso su quattro.
Considerando che il trattamento terapeutico comminato in sanzione risulta già, e per definizione, un provvedimento che prescinde dal libero arbitrio dei consumatori, il ricorso a stimoli economici in un contesto sanitario equivale a un ulteriore e più grave atto di indebito condizionamento delle scelte compiute da questi ultimi, di fatto compromettendo tutela della salute e regolare svolgimento del percorso riabilitativo.

Se l’attenzione rivolta ai minorenni nel campo delle dipendenze, per quanto opinabile nelle forme, denota ad ogni modo una sua innegabile legittimità, torna allora utile sottolineare un altro aspetto: stando alle statistiche del governo, l’età media dell’utenza in trattamento presso i SerD è in progressivo aumento dal 1999, passando nell’ultimo quarto di secolo da 28 a 34 anni nel caso dei nuovi ingressi, e da 31 a 44 anni per le persone già in carico. 
Riferendosi al privato sociale, gli utenti minorenni risultano essere il 9% del totale.
Numeri che confermano come uso e abuso di sostanze, così come il loro trattamento terapeutico, rimangano prevalentemente fenomeni legati alle fasce adulte della popolazione, comunemente marginalizzate dal dibattito pubblico sulle sostanze, e per le quali in rare eccezioni vengono istituiti interventi ad hoc.
“L’iniziativa da una parte sembra sollecitare, e implicitamente ammettere, l’opportunità delle persone che usano Cannabis a utilizzare le competenze apprese e acquisite, dall’altra ammette, di fatto, il fallimento delle logiche proibizioniste, patologiche ed etichettanti alla base dei modelli organizzativi e funzionali più diffusi dei servizi”, ha dichiarato Stefano Vecchio, presidente di Forum Droghe, che ha in seguito richiamato l’esigenza “non rinviabile, di invertire la rotta e innovare le politiche a favore delle persone che usano droghe al di fuori di stigmi e etichette patologiche, adottando una prospettiva trasversale di Riduzione del Danno e dei Rischi”.

Appare poi singolare constatare come l’azienda sanitaria di Treviso abbia trovato modo di organizzare un progetto che prevede l’arruolamento di una cinquantina di unità, ma che, a distanza di quasi tre mesi, non abbia ancora ritenuto opportuno fornire risposta alla diffida inviata da Associazione Luca Coscioni nello scorso mese di Agosto, al fine di fare luce sul servizio socio-sanitario svolto nel corso del 2024 presso la casa di reclusione di Treviso.
Lacuna che diventa paradosso, se consideriamo in aggiunta che, come informa il Gazzettino Treviso nell’edizione del 27 Ottobre 2024, il capoluogo si è appena aggiudicato il titolo di terza provincia più virtuosa d’Italia per efficienza burocratica e amministrativa.

Quella dell’Usl è una prassi che sembra infine richiamare in maniera allarmante iniziative già intraprese a livello governativo, come nel caso del bonus natalità: provvedimenti che, piuttosto che proporre interventi strutturali, ricorrono alla premialità come istituto finalizzato alla definizione di atteggiamenti virtuosi e, di conseguenza, di condotte da stigmatizzare.
Se spostiamo poi l’attenzione al caso specifico dell’azienda sanitaria trevigiana, l’idea di intavolare un patteggiamento tra retribuzione economica e rinuncia al consumo costituisce con tutta probabilità il punto più basso della cosiddetta guerra alla droga in Italia o, per meglio dire, assume i connotati del definitivo atto di resa.

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