Chi segue i miei articoli e più in generale la mia attività antiproibizionista sa bene quanto io insista su un concetto che per me è fondamentale: in Italia riusciremo a legalizzare la cannabis solo quando sarà opinione diffusa che tutti potrebbero beneficiarne, anche chi non consuma, anche la “casalinga di Voghera”.
Ogni volta che rifletto su questo concetto penso alla mia amica Tina Marie.
Tina è una persona speciale, alla quale sono straordinariamente affezionato perché durante i miei anni americani mi ha accolto nella sua famiglia come se fossi un figlio. Oggi vorrei raccontarvi la sua storia.
Nasce in California nella seconda metà del secolo scorso, è una donna comune, come ce ne sono tante, dal sorriso contagioso e con una vitalità straordinaria. Dedica gran parte della vita alla sua più grande passione: l’insegnamento. Sposata, con quattro figli, conduce la tipica vita della classe media americana, fatta di duro lavoro e tanti sacrifici.
Fino al giorno in cui la salute le volta le spalle.
Senza nessun motivo apparente comincia a soffrire di violente emicranie, problemi motori, spasmi e dopo accurate analisi le viene diagnosticata la sindrome di Arnold-Chiari. Il dolore è continuo e acuto, ma la cura che le viene prescritta, oltre ad essere molto costosa, risulta totalmente inefficace e, come conseguenza della sua lunga invalidità, è costretta ad abbandonare l’insegnamento.
La svolta arriva il giorno in cui incontra un medico illuminato che le prescrive cannabis come terapia alternativa. Tina non ha mai consumato marijuana ma è una fumatrice, ed esasperata dal dolore costante, frustrata dall’inefficacia delle cure tradizionali, decide di iscriversi al Medical Marijuana Program in Oregon, dove nel frattempo si è trasferita, e di cominciare a curarsi con questo strano metodo alternativo. I benefici sono immediati, quasi miracolosi.
Tina descrive questo momento come una vera e propria rinascita.
Pervasa da una nuova vitalità, comincia ad attivarsi nella scena locale: organizza incontri per sensibilizzare altri pazienti sui benefici di questa pianta medicamentosa e, mentre la sua salute migliora, stringe nuove amicizie.
C’è solo un grosso problema: ha perso il lavoro e alla sua età non è semplice reinserirsi nel mercato.
Il destino le viene in soccorso il giorno in cui il figlio maggiore, arruolato nell’esercito, la chiama al telefono per comunicarle che il suo reparto sarebbe stato presto dislocato in Iraq e che le ha comprato un biglietto aereo per poterla rivedere prima della partenza.
Tina appende il telefono e scoppia in un pianto disperato.
Non solo suo figlio sta per essere mandato in missione all’estero, ma l’ha appena invitata a raggiungerlo sulla east coast, dove la cannabis è illegale e non potrà portare con sé la sua nuova terapia miracolosa. Il terrore di una ricaduta e di avere un attacco di fronte al figlio le toglie il sonno, fino al giorno in cui le viene un’idea. Tina è anche un’ottima cuoca e una discreta pasticcera. Decide quindi di usare la cucina di casa per estrarre il principio attivo della cannabis e farne delle caramelle ed una pomata da spalmare. Così facendo avrebbe potuto trasportarla di nascosto e continuare a curarsi senza essere notata.
Tina affronta il lungo viaggio e ritorna in Oregon raggiante. Non solo aveva esaudito il desiderio del figlio, ma le medicine fatte in casa avevano funzionato alla perfezione e adesso aveva anche una nuova idea imprenditoriale.
Con l’amica Betty nel giro di poche settimane fonda una cooperativa e comincia ad affinare le “tecniche culinarie”. Impara ad estrarre col burro, con l’alcool e persino con la vodka organica realizzando, caramelle, lecca-lecca, torte, biscotti, tinture, infusi, persino estratti con la glicerina, adatti alla vaporizzazione. Dopo breve tempo registra la sua nuova attività e consegna i suoi prodotti ai primi 25 pazienti (e amici): da quel giorno sarebbe diventata famosa in tutta la costa occidentale come “The Candy Lady”. Era il 2007.
Tina è rimasta la “Candy Lady” fino al 2015 quando finalmente, e meritatamente, è andata in pensione. Nel corso di otto lunghi anni ha moltiplicato i prodotti a base di cannabis, ha servito migliaia di pazienti, ha esportato in cinque Stati, ha visto le sue etichette elegantemente esposte sugli scaffali di dozzine di dispensari, il suo prodotto più venduto è sempre rimasto il lecca-lecca al gusto cannabis e cannella ma – cosa più importante – si è inventata dal nulla una nuova professione che le ha permesso di provvedere a se stessa e alla sua intera famiglia.
Ripensando a questa storia con il sorriso, mi sorge una domanda: in Italia quante Tina Marie ci sono che potrebbero cogliere le opportunità derivanti da un nuovo mercato legale chiamato cannabis?