Cronache della Green Rush – Episodio Dieci

Cosa trovi in questo articolo

Ogni episodio del blog è corredato da un album di musica che ho sentito risuonare nei campi americani durante il raccolto e da alcune foto originali che ho scattato negli anni che vi ho trascorso. L’intento è quello di creare un’esperienza multisensoriale che possa catapultarvi nelle piantagioni della Green Rush.
Fraga USA Cannabis
Riccardo Giorgio Frega

Capita spesso di leggere, sulla stampa italiana, come il mercato della cannabis stia facendo meraviglie, in termini di occupazione e di extra gettito fiscale, in quegli Stati che l’hanno legalizzata. Particolare attenzione viene dedicata agli Stati americani che vengono comunemente indicati come esempio da seguire e da imitare. Da questo atteggiamento mediatico deriva la convinzione, molto diffusa, che negli Stati Uniti la Politica sia migliore e più progressista, la società civile più aperta e moderna, le associazioni antiproibizioniste più capaci ed efficaci.

Ma è davvero così? Legalizzare la cannabis in quei luoghi è stato davvero più semplice di quanto non si stia rivelando nel Bel Paese?

Basta conoscere un po’ la storia dei movimenti per la legalizzazione USA per rendersi conto che, anche per loro, è stato un processo graduale e complesso, irto di ostacoli e di sconfitte.

Fin dalle prime settimane che ho trascorso in Oregon sono entrato in contatto ed ho stretto amicizia con molti attivisti ed imprenditori locali ed è stato bello sentire i racconti di come loro siano riusciti ad ottenere, dopo decenni di instancabile attività, una legge che consentisse ai malati di potersi curare ed ai semplici consumatori di poter acquistare legalmente infiorescenze ed estratti.

Anche in questo Stato, che oggi può vantare una delle forme di legalizzazione più avanzate ed efficaci, la battaglia per centrare questo obiettivo è stata lunga e durissima e ci sono voluti una serie di referendum popolari che obbligassero il Governo locale ad intervenire e legiferare.

Quando nel 1994 il famoso attivista Chris Iverson, presidente della Northwest Hemp Foundation, inaugurò a Portland il primo cannabis buyers club, lo fece in barba ad ogni legge vigente, assumendosi un grande rischio personale e dovette difendere la sua attività da ogni sorta di attacco legale e tentativo di chiusura. Solo 4 anni più tardi e grazie anche alla sua disobbedienza civile, il referendum popolare del 1998 aprì il mercato della cannabis terapeutica. Non fu la politica quindi, ma furono i cittadini.

La legge però venne aspramente contestata dagli oppositori politici più conservatori e fu ritenuta incompleta ed insufficiente anche dagli stessi attivisti, che si misero subito al lavoro per migliorarla. Nonostante il loro sforzi tuttavia, sia il referendum del 2004, che prevedeva un innalzamento della quantità massima di cannabis che i pazienti potevano legalmente possedere, che quello del 2010, volto ad istituire delle nuove licenze che consentissero ai produttori di poter vendere direttamente ai pazienti, persero nettamente alle urne. Persino il referendum del 2012, che qualora approvato avrebbe aperto anzitempo il mercato della cannabis ricreativa, venne clamorosamente bocciato dai cittadini. Ci vollero altri anni di instancabile lobbying parlamentare per ottenere una legge che, finalmente, facesse ordine nel neonato mercato locale dei cannabinoidi.

Persino nell’assolata California, considerata da molti come un eden della cannabis, la storia della legalizzazione vede protagonisti un tenace manipolo di attivisti contrapposti ad un parlamento lento e sordo.

Fu notoriamente Dennis Peron ad ottenere per primo, dalla città di San Francisco (una delle più progressiste negli Stati Uniti), il permesso di aprire il primo club autorizzato a vendere cannabis come farmaco analgesico riservato inizialmente ai malati di AIDS, erano i primissimi anni 90, e tuttavia ogni richiesta da parte della municipalità di ottenere dal Governo centrale californiano una legge che avesse valenza nazionale, subì un secco veto. Ci vollero anni e fu necessario che altre grandi città, come Auckland e Santa Cruz, approvassero leggi locali simili a quella di San Francisco per forzare la mano del legislatore ed avere finalmente una normativa nazionale.

Ancora oggi in questi due Stati le associazioni di attivisti e volontari si battono quotidianamente per difendere la legalizzazione. Sono in molti infatti a ritenere che entrambe le leggi possano essere ancora migliorate ed occorre difendere il diritto di milioni di consumatori dai continui attacchi che la legalizzazione subisce quotidianamente. 

Cosa ci insegnano queste esperienze? 

Ci dimostrano come nessun cambiamento di questa portata può essere semplice o indolore. Come il ruolo della società civile e degli attivisti sia stato sempre fondamentale ed un fronte antiproibizionista compatto sia una prerogativa assolutamente imprescindibile. Ci dicono che ci vuole pazienza, costanza e resilienza e che, una volta che anche in Italia la cannabis sarà legale, il nostro lavoro non sarà ancora finito. Perché quella legalità, una volta ottenuta, andrà ancora difesa con le unghie e con i denti.

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