Come il governo Meloni ha trasformato la giornata mondiale contro abuso e traffico illecito di droghe nell’ennesimo evento di propaganda anti-Cannabis.
Per le realtà che, in Italia come nel mondo, lavorano per riformare le attuali politiche sulle sostanze stupefacenti, affinché si abbandoni l’approccio repressivo verso chi ne fa uso, il 26 Giugno, ovvero la giornata internazionale contro l’abuso di droga e il traffico illecito, è una cosa seria.
Il duplice obiettivo di questa ricorrenza, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1987, è di facile intuizione: combattere, da un lato, un modello problematico di consumo, e dall’altro, il mercato nero gestito da mafie e cartelli; parimenti, è altrettanto intuibile che gli strumenti sin d’ora adottati per perseguire il doppio scopo si siano rivelati non solo inadeguati, ma addirittura controproducenti.
La scelta, operata cavalcando l’onda della War on Drugs di stampo proibizionista da Stati e organizzazioni sovranazionali, di concentrare politiche e risorse nel rimuovere militarmente le sostanze illegali dalla circolazione, non si è rivelata solo illusoria, ma ha provocato, di fatto, una diffusa criminalizzazione delle persone che usano sostanze, con effetti devastanti per la loro salute e, più in generale, per la civile convivenza sociale.
È anche e soprattutto per questo che, negli ultimi anni, diversi Paesi hanno abbandonato strategie fallimentari e smesso di credere nella chimera del consumo zero, optando per forme di legalizzazione della Cannabis e depenalizzazione delle condotte afferenti al consumo personale delle sostanze. A livello internazionale, inoltre, è sempre meno timido il cambio di passo che antepone ad altri obiettivi la tutela dei diritti umani, troppo a lungo violati, delle persone che usano sostanze.
Non a caso, la campagna delle Nazioni Unite del 26 Giugno, promossa tramite il suo ufficio sulle droghe e il crimine (UNODC), ha racchiuso nello slogan People First la volontà di interrompere la stigmatizzazione e la discriminazione verso chi consuma droghe affinché si promuovano approcci evidence based, fondati innanzitutto sul rispetto della persona e della sua dignità.
Linee di indirizzo, queste dell’ONU, di cui gli Stati, quantomeno i firmatari delle convenzioni sugli stupefacenti, dovrebbero tener conto nel declinare le politiche nazionali e nel promuovere il dibattito, ma l’Italia sembra avere altri piani.
Il Governo Meloni, invero, ribattezzando arbitrariamente il 26 Giugno come Giornata contro le droghe, ha organizzato un evento che nulla ha avuto a che vedere con il contrasto all’abuso e al traffico illecito.
Nel parterre chiamato ad intervenire nell’Aula dei Gruppi Parlamentari di Montecitorio, a spiccare non sono stati solo i nomi del Ministro allo Sport e di varie eccellenze delle discipline agonistiche, che hanno rilanciato un modello balilla basato sull’assunto, di dubbia attendibilità, che l’attività sportiva convinca giovani e non ad abbandonare stili di vita reputati insalubri, ma anche quelli di due personalità americane, chiamate a raccontare “gli effetti della legalizzazione della cannabis negli Stati Uniti”.
La presenza di Kevin Sabet e Luke Niforatos, presidente e vicepresidente della stessa associazione, la SAM (Smart Approach on Marijuana), non è stata casuale, ma si inserisce perfettamente nella propaganda anti-Cannabis che il Governo strenuamente promuove.
L’organizzazione, attraverso una ambigua attività di lobbying, non solo è riuscita a bloccare, negli ultimi anni, numerose iniziative popolari che miravano a portare diversi Stati al voto sulla legalizzazione, ma lo ha fatto sviluppando una narrazione più sottile, e per certi versi più subdola, rispetto a quella dei proibizionisti nostrani. Evitando accuratamente di demonizzare i consumatori, considerati vittime nel gioco di chi vuole lucrare a danno della loro salute, Sabet e Niforatos si concentrano nella lotta alle politiche di legalizzazione, in quanto responsabili della creazione di un mercato considerato dannoso. Attraverso la diffusione di informazioni spesso false sui reali effetti della Cannabis e la sistematica censura di qualsiasi riferimento al suo impiego terapeutico, entrambi si adoperano per bloccarne il commercio che, a parer loro, porterà presto ad una Big Tobacco 2.0. Il cavallo di battaglia di Sabet, per tre volte consigliere della Casa Bianca nell’ambito delle politiche antidroga, è l’analisi capziosa dei fallimenti della regolamentazione negli Stati americani che l’hanno attuata, mentre il topic preferito da Niforatos è la demonizzazione della marijuana ad alto contenuto di THC, in linea con diversi esponenti della maggioranza di governo.
Governo che avrebbe potuto trovare altri attori, più istituzionali, per sparare a zero sulla legalizzazione e che, invece, sceglie due lobbisti di nota e dubbia fama, che con la loro associazione ricevono soldi da finanziatori tenuti nascosti, come il magnate del gioco d’azzardo Sheldon Adelson o l’azienda farmaceutica che dispensa il fentanyl negli USA; tengono rapporti, poi negati, con la Drug Free America Foundation, un programma di dipendenze accusato di abusi e torture sulle persone in trattamento; o avviano un sistema di scatole cinesi che vede Luke Niforatos assumere il comando della neonata Protect Our Kids, associazione collegata a SAM col fine di combattere la proposta statunitense di depenalizzazione federale della cannabis, che per il suo inquadramento giuridico potrà raccogliere finanziamenti illimitati.
Non una parola spesa, nella giornata contro l’abuso e il narcotraffico, sul fatto che le politiche di disincentivo al consumo abbiano portato, dal 2010 ad oggi, un aumento del 22% delle persone che usano droghe a livello globale; non una parola sul fatto che, qui in Italia, la “Big Tobacco” della Cannabis c’è già: si chiama mafia e continua a lucrare indisturbata, con prodotti di ignota qualità e purezza, sul traffico illecito di droghe.