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Captagon e altre droghe militari

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di Federica Valcauda

Il sequestro di 14 tonnellate di anfetamine con logo Captagon (di produzione Isis), realizzato al porto di Salerno nella giornata di ieri ha fatto riemergere problemi che sembravano ormai invisibili.

Innanzitutto ci ha riportato alla realtà delle cose sul traffico delle sostanze: il mercato europeo (regolato dalle mafie), forse fermo a causa del lockdown, non ha faticato a trovare produttori alternativi.

Che i produttori alternativi siano riconducibili all’organizzazione terroristica più pericolosa di questi ultimi anni, è una cosa che alla criminalità organizzata non interessa, ma dovrebbe in un mondo normale interessare lo Stato che non può limitarsi ai sequestri.

L’altro punto riguarda l’utilizzo di questa tipologia di sostanza all’interno delle guerre, o in determinate situazioni (vediamo Bataclan 2015), che diventa propedeutica all’eliminazione della paura e del dolore. In questo modo, proprio perché l’essere umano non è naturalmente propenso ad uccidere altri esseri umani, si modifica la percezione della situazione rendendo l’uomo in grado di sopportare la tragedia della guerra.

Il libro dello storico polacco Kamienski: “Shooting up: Storia dell’uso militare delle droghe” ci avvicina attraverso le epoche all’utilizzo delle sostanze durante le guerre: dai Vichinghi alla più recente guerra del Vietnam.

I Disturbi da stress post-traumatico

Restando nel periodo storico contemporaneo, vediamo dagli studi svolti dal professor Lee Robins (Washington University di St.Louis) nel 1971 come la metà dei soldati americani partiti per la guerra del Vietnam abbiano assunto eroina.

Il 20% di loro è tornato da quella guerra dipendente dalla sostanza, sviluppando Disturbi da stress post-traumatico (PTSD).

L’antiproibizionismo passa anche dal riconoscimento di quello che deve essere un uso consapevole, non soggetto a secondi fini indotti da altri, soprattutto quando le azioni portano al dolore che si fa e che si riceve.

La cura alle scelte sbagliate degli Stati potrebbe essere la Cannabis: il dibattito a livello scientifico bontà dell’utilizzo di questa pianta per attenuare i sintomi PTSD è ancora aperto, ma in America gli Stati che utilizzano la Cannabis a scopo terapeutico per questa patologia aumentano, così come aumentano i dottori che rilevano dei benefici su alcuni loro pazienti.

Se il dibattito è ancora aperto, la necessità di finanziare la ricerca scientifica per ampliare le conoscenze su questo tema è ormai evidente.

Un bisogno di approfondimento che deve andare aldilà del solo PTSD legato ai reduci di guerra, perché la prevenzione in questo caso ha a che fare anche con politiche di pace e di antiproibizionismo.

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