26 Giugno, giornata mondiale contro abuso e traffico illecito di droghe

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Il 26 Giugno ricorre la Giornata Mondiale contro Abuso e Traffico Illecito di Droghe, ma, con tutta probabilità, in giro sentirete parlare di “Giornata mondiale contro la droga”, laddove “in giro” vada presa come una locuzione direttamente riferita alla comunicazione istituzionale organizzata da Palazzo Chigi.
Quello che potrebbe sembrare un semplice disguido lessicale costituisce in realtà lo strumento principale alla base di una banalizzazione del linguaggio caratterizzato dalla trasmissione di messaggi antiscientifici.
Spostare l’obiettivo dalla problematica del traffico illecito a quella della sostanza in sé sottintende un’operazione di manipolazione sottile, finalizzata a trasmettere un’impostazione muscolare e intransigente, strumentale a celare ai più sprovveduti il divario tra teoria e pratica.
Non è un caso che tutti gli esponenti principali della squadra di governo abbiano presenziato al Vinitaly, riuniti nella celebrazione di una droga giuridicamente legale che, a torto o a ragione, per fortuna o purtroppo, viene costantemente celebrata come un’eccellenza del made in Italy.

In ambito anglofono parleremmo di “false friends”: una serie di vocaboli della lingua inglese che, per assonanza, omofonia, o semplice suggestione, tendiamo ad associare a significati italiani che si rivelano inesatti.
Per esempio, “eventually” vuol dire “infine”, non “eventualmente”.
La dialettica proibizionista ricorre, e indugia spesso, in simili errori concettuali. 
E quasi mai, a generare confusione, è una semplice incongruenza semantica.
Riflettiamo su quanto, in Italia, la narrazione sulle droghe illecita si sia polarizzata attorno ad alcuni cliché riproposti con ciclica puntualità: l’equivalenza di tutte le droghe, l’inevitabile nesso di causalità che legherebbe il consumo di Cannabis e quello di eroina, l’omologazione tra il concetto di uso e quello di abuso, la non meglio definita “cultura dello sballo” o l’altrettanto vaga “normalizzazione delle droghe”.
La letteratura scientifica ci dice altro per ognuna di queste asserzioni: ogni sostanza presenta proprie specificità, più o meno dannose a seconda delle caratteristiche; la teoria del passaggio, a quarant’anni di distanza dalla sua formulazione, non ha mai ricevuto il supporto di riscontri scientifici; la netta maggioranza dei consumatori è in grado di seguire un pattern di utilizzo non patologico, e, riguardo la “cultura dello sballo” e la “normalizzazione delle droghe”, si tratta di termini che, qualora volessero essere presi seriamente, andrebbero quantomeno contestualizzati alla luce del fatto che il nostro Paese continua a essere uno dei due principali produttori mondiali di vino, nonché terzo al mondo per consumo, con un utilizzo di alcol che l’Istat stima a circa il 70% su scala nazionale, e con una media annua di 93mila decessi legati al tabacco – in entrambi i casi, droghe ben più dannose di diverse altre sostanze proibite.

E, dato che ci siamo, attenzione anche al termine “prioritario”, utilizzato per declassare il dibattito circa le politiche sulle droghe a questione marginale.
Eppure, i provvedimenti finora determinati o promossi dall’esecutivo testimoniano tutto il contrario: dal decreto rave al decreto Caivano, dal doppio attacco alla Cannabis a uso industriale al nuovo Codice della Strada, l’azione del primo anno e mezzo di governo Meloni si è rivolta alla criminalizzazione dei consumatori di sostanze illecite con una puntualità piuttosto sospetta.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.
Del resto, lo abbiamo osservato anche in merito a temi come fine vita, carcere e questioni LGBTQIA+: l’attacco ai diritti è anche, se non soprattutto, una questione di semantica.
Restando nell’ambito delle droghe illecite, si continua ad esempio a dichiarare automaticamente tossicodipendente chi, all’ingresso nel circuito penitenziario, dichiara consumo di sostanze illecite, seppur non problematico; si continua a utilizzare impunemente il termine “tossicodipendenza”, in altri Paesi eliminato dai libri di testo accademici; si applica l’etichetta di “spacciatore” alla stragrande maggioranza delle persone che, per pochi grammi o poche piante, è alle prese con una sentenza per art. 73, dimenticando del tutto che i condannati per art. 74, sulla carta membri di reti criminali finalizzate allo spaccio, rappresentano meno del 5% dei condannati ai sensi del testo unico sulle droghe.

Non dimentichiamo, infine, gli spot a cura del Dipartimento Politiche Antidroga, di cui l’ultimo deleterio esempio realizzato in collaborazione con la Rai.
Seppure in forma di cartoon, l’eterna riproposizione del fattone-zombie, immancabilmente uomo, bianco ed etero, è stata in grado di far dimenticare anche i tragicomici siparietti con protagonista Roberto Mancini, distribuiti dal Dipartimento per le Politiche Antidroga proprio un anno fa. 
Ciò che appare più preoccupante è la protervia con la quale tali messaggi vengono propagati.
Si torna così alla casella di partenza: al 26 Giugno, giornata mondiale contro abuso e traffico illecito di droghe.
A questo punto, sarà chiaro a chi legge come “contro abuso e traffico illecito”, non abbia lo stesso significato di “contro la droga”. 
Che abuso e traffico illecito riguardano anche droghe legali come alcol e tabacco.
Che opporsi agli utilizzi problematici comporta una efficiente presa in carico sanitaria, al momento eccessivamente sovrapposta, quando non delegata, all’ambito penale.
Che il contrasto al traffico illecito non può non sottintendere il sostegno a una regolamentazione di quelle sostanze vendute illegalmente proprio perché illegali.

E pazienza, a questo punto, se il CT campione d’Europa in carica ha preferito mettere i suoi talenti a disposizione della rappresentativa di una nazione che, al momento, risulta tra i primi cinque Stati al mondo per condanne a morte comminate in riferimento a reati droga-correlati.

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