“La Canapa è stata posta all’ordine del giorno della nazione, perché per eccellenza autarchica è destinata ad emanciparci quanto più possibile dal gravoso tributo che abbiamo ancora verso l’estero nel settore delle fibre tessili. Non è solo il lato economico agrario, c’è anche il lato sociale la cui incidenza non potrebbe essere posta meglio in luce che dalla seguente cifra: 30.000 operai ai quali da lavoro l’industria canapiera italiana”.
A dirlo è stato forse qualche imprenditore della Cannabis light? Un parlamentare progressista? No!
A pronunciare queste parole fu niente poco di meno che Benito Mussolini nel lontano 1925, anno di istituzione del Consorzio Nazionale della Canapa.
Se la cosa vi ha sorpreso, sappiate che c’è ancora dell’altro. Sì, perché fu proprio con il fascismo che la coltura della cannabis, attività da sempre fiorente in tutta Italia, raggiunse il suo apice.
Il decreto del 1925, infatti, segnò l’inizio di tutta una serie di riforme agrarie aventi al centro la canapa: in brevissimo tempo sorsero i primi consorzi provinciali, riuniti nel 1934 mediante la costituzione di Federcanapa.
In un contesto finanziario ancora fortemente appesantito dalle sanzioni imposte all’Italia a seguito della Prima Guerra Mondiale, è proprio la canapa che il neonato regime identificò come strumento di rinascita agricola ed economica. Non è un caso se in quegli anni l’Italia rappresentava il secondo produttore mondiale, alle spalle della sola Unione Sovietica.
I numeri parlano chiaro: la canapa risulta la fibra maggiormente lavorata nel corso di tutti gli anni ’30 secondo quanto documentato da Angelo Tarchi, Consigliere nazionale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
L’opinione pubblica mostrava un atteggiamento di grande favore nei confronti della cannabis, con i principali organi di informazione a tesserne le lodi (è proprio il caso di dirlo). Nell’edizione del 21 Gennaio 1938, il Corriere della Sera si felicitava del successo della Settimana della Canapa, elogiandone “la virtù accoppiata alla modestia”.
I notiziari dell’istituto Luce ne evidenziavano le caratteristiche di autarchia:
Nel 1941, anno di fondazione dell’Ente Nazionale Esportazione Canapa (“Non sono altre le priorità, con una guerra in corso?”, avrà chiesto qualcuno) gli ettari di superficie destinata alla coltura della canapa arrivano a essere addirittura a 102mila, quasi il doppio rispetto ai 60mila di soli sette anni prima.
L’Industria Nazionale – rivista mensile sull’autarchia, pubblicazione edita fra 1937 e 1941, proprio nel 1937 orgogliosamente informava che “la produzione della canapa in Italia è ascesa nel 1936 a 850.00 chilogrammi di raccolta, di cui 690.000 di taglio e 160.000 di stoppa a scarto”.
Insomma, Berta filava, sfruttando un’espressione divenuta famosa in seguito!
Non siete ancora convinti? Allora vi invitiamo ad approfondire altre due innovazioni tecniche risalenti a quegli anni: il cafioc e il gassogeno. Il primo era un sostitutivo del cotone ottenuto dalla disintegrazione delle fibre, entrato in commercio nel 1935, il secondo un ingegnoso generatore di combustibile, perlopiù al servizio dell’industria automobilistica. Solo tre anni prima, Henry Ford aveva presentato il progetto della Hemp Body Car, una macchina integralmente fatta di canapa. Con il suo gassogeno, l’Italia si poneva dunque all’avanguardia in merito agli utilizzi industriali della pianta.
E che dire di Carmagnola? Se, fino a quel momento, la località piemontese doveva la sua fama all’opera manzoniana, il piccolo centro divenne uno dei punti nevralgici della filatura della canapa, arrivando in seguito a dare il nome a una delle varietà italiane più pregiate e versatili in assoluto
Nel 1925, però, la Cannabis venne dichiarata illegale. In realtà, la decisione fu vincolata alla ratifica della cosiddetta Convenzione dell’Oppio, stipulata nel 1912 a L’Aia fra diversi Stati.
Ad ogni modo, e nonostante in Italia il consumo di oppio e cocaina fosse molto più diffuso, è da questo momento che la Cannabis divenne illegale nel nostro Paese.
La decisione, in contraddizione con i progetti di sviluppo autarchico nazionale, non solo si inserì nella scia delle politiche proibizioniste americane, ma, soprattutto, finì col penalizzare un fiorente settore dell’economia italiana.
Conclusioni
Ora, prendete tutto questo e portatelo ai giorni nostri, in cui sono proprio gli esponenti istituzionali legati a quel tipo di tradizione politica a rappresentare i più strenui oppositori della regolamentazione della Cannabis, a partire proprio dai suoi utilizzi industriali.
Non credete che a loro un ripasso di storia farebbe bene?
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