coltivare cannabis light

Cosa devi sapere prima di investire nella cannabis light

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Di Edoardo Bigolin.

Investire nella canapa significa rendere onore e restituire valore economico ad una pianta che ha soddisfatto i più disparati bisogni umani da tempi antichi. E’ proprio il profondo rapporto che l’uomo ha avuto con la cannabis nella storia a rendere l’idea degli infiniti utilizzi di questo “maiale” vegetale.

 La canapa ha portato le tre caravelle alla volta dell’America sottoforma di vela e ha custodito le parole della prima Bibbia stampata fra le pagine fatte delle sue fibre. Essa fornisce alcune delle fibre più resistenti del mondo vegetale, produce abbondanti raccolti di semi dalle proprietà organolettiche incredibili, premia i propri curatori con fioriture abbondanti e dalle proprietà fitoterapiche uniche nel loro genere e molto, molto altro ancora.

Tutto questo in un contesto di elevata sostenibilità, perché la cannabis richiede bassi input produttivi in termini di acqua, fertilizzanti, pesticidi e lavorazioni sul campo, mentre riesce a sequestrare importanti quantità di CO2 ed a purificare il terreno dai metalli pesanti.

Non vi è dubbio, coltivare canapa è una scelta valida, ma in un Paese come l’Italia appare ostica per l’incertezza giuridica e la stigmatizzazione politica. Facciamo chiarezza.

Coltivare canapa in Italia

La coltivazione di canapa in Italia è regolata dalla Legge 242/2016, la quale in recezione dei Regolamenti Europei in materia, ha normato la libera coltivazione per un tenore di THC inferiore allo 0,6% (limite del Testo Unico sugli stupefacenti), quella che grazie ai media abbiamo imparato a conoscere come cannabis light. Sullo stesso testo legislativo si riconosce la coltivazione di canapa per l’ottenimento di prodotti ad uso tecnico, cosmetico, alimentare, florovivaistico, puntualizzando inoltre l’impegno allo sviluppo del settore e della relativa filiera. La pianta coltivata deve provenire da semi di canapa industriale certificati del Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole dell’UE.

Buchi normativi

Dal paragrafo precedente potrebbe apparire inspiegabile la travagliata esperienza di molti imprenditori che hanno avuto non poche beghe con le forze dell’ordine. La risposta è che la suddetta Legge rimandava a precisazioni giuridiche che hanno tardato ad arrivare o ancora non esistono, ecco perché si dice che il mercato della cannabis light stanzia in un limbo legale

Per quanto riguarda il settore alimentare, la Legge rimandava ad una definizione dei limiti di THC da parte del Ministero della Salute attraverso decreto ministeriale, documento poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale solamente a gennaio di questo anno. Nel testo si annoverano semi (e relative farine), olio di semi ed integratori per i quali il commercio è ad oggi normato e garantito.

Per la cannabis light in senso stretto, ovvero quella che intuitivamente associamo all’infiorescenza secca da fumare, vige ancora un regime di “limbo”. Chiunque abbia frequentato un hemp shop e si sia ritrovato fra le mani una confezione di cannabis light avrà notato la fumosa destinazione d’uso ornamentale o da collezionismo. Questo espediente viene utilizzato per allineare la vendita del prodotto alle disposizioni legali, creando inevitabilmente confusione e diffidenza nei consumatori, oltre a non essere una pratica di per sé corretta. I motivi di questo problema sono facili da individuare ma di difficile risoluzione. Il prevenuto sentimento proibizionista tipico di molti esponenti politici e il difficile inquadramento della cannabis light nel mercato sono i principali ostacoli da superare. In particolare, le questioni che mantengono impantanata la legalizzazione sono il metodo di consumo ed il motivo.

 Sarebbe corretto, a fini contabili e fiscali, affiancare le infiorescenze di cannabis ai tabacchi con tutto ciò che ne conseguirebbe? Se le infiorescenze vengono utilizzate per trarne i benefici fitoterapici del CBD e questo fosse riconosciuto come medicinale, non sarebbe corretto annoverare la sostanza fra i farmaci, quindi distribuibile solo dalle farmacie?

A queste domande manca ancora una risposta certa, ma si confida in una soluzione che massimizzi la libertà del mercato da un lato e la tutela dei consumatori dall’altro.

Il cannabidiolo è uno stupefacente?

Una nota di merito deve riservarsi alla classificazione del Cannabidiolo (o CBD) proprio per le questioni poste sopra. Infatti, la recente vicenda che ha visto il CBD aggiungersi al novero dei medicinali contenenti stupefacenti in Italia, è stata conseguenza del vaglio da parte di EMA e AIFA, autorità farmaceutiche rispettivamente di UE ed Italia, di un medicinale continente Cannabidiolo. Il decreto ministeriale incriminato è stato prontamente ritirato e ciò sottolinea il clima di costante incertezza e difficile collocazione del CBD nel mercato.

Fortunatamente, a seguito di un’altra controversia, la Corte di Giustizia Europea ha fatto chiarezza, riconoscendo la libera commercializzazione e circolazione intraeuropea di prodotti contenenti cannabidiolo a norma di legge, essendo quest’ultimo un prodotto non stupefacente.

Ciò non fa altro che rafforzare lo status del CBD come sostanza sicura, concetto già sancito dall’OMS nel processo che ha visto, fra le altre cose, la rimozione della cannabis dalle sostanze più pericolose della Convenzione Unica sugli Stupefacenti delle Nazioni Unite.

In questo stesso periodo, continua la proposta da parte di molti esponenti politici per la totale liberalizzazione della cannabis light, ciò per rispondere alle necessità di un mercato e di un settore in espansione. Dall’altro lato permane la ferma opposizione delle forze proibizioniste, le quali, prescindendo dal pragmatismo liberalista di cui usano fregiarsi, non rinunciano alle proprie posizioni ormai comprovatamente prevenute. È novità recente l’ennesima bocciatura di un provvedimento in merito.

Entrare nel settore canapicolo italiano

Nel corso degli ultimi anni il mercato della cannabis ha visto numeri in forte crescita in termini di produzione e commercio, sistematicamente osteggiati da proclami, ostruzionismo politico e incertezza legale. Non sono mancati, inoltre, incursioni di polizia e sequestri ai danni di molti hemp shop. Inevitabilmente si sono succeduti momenti di prosperità e momenti di congestione nel mercato della cannabis light, con il solo risultato di ostacolare e criminalizzare un settore che garantirebbe ingenti entrate fiscali e giri d’affari. Ciononostante, considerati l’esponenziale espansione del mercato cannabico su scala globale e il suo conseguente riconoscimento, una più ampia legalizzazione e legittimazione culturale sarà solamente questione di tempo.

Di conseguenza, l’imprenditore lungimirante che decida di investire nella canapicoltura potrà avviare un’impresa agricola e fare affidamento alle ormai numerose associazioni di categoria di tiratura nazionale e regionale come AssoCanapa, FederCanapa, Italcanapa. Queste tutelano gli interessi delle imprese di fronte al decisore politico, forniscono attività di consulenza e fungono da network fra gli imprenditori, garantendo l’integrità della filiera. Infatti, data la recente espansione del settore, non è inconsueto che molte imprese si ritrovino a non sapere a chi conferire i propri prodotti semilavorati o gli scarti di produzione o semplicemente come reperire i mezzi. I sottoprodotti in particolare spesso risultano in ottimo materiale per la produzione di biomassa o prodotti cosmetici o alimentari, pensiamo alla farina ottenuta dagli scarti dei semi utilizzati per la produzione dell’olio. Risulta fondamentale per la massima valorizzazione e profittabilità della filiera, che produttori, trasformatori e commercianti siano in contatto fra loro in questo particolare momento storico.  

In conclusione, decidere di coltivare e commerciare cannabis light nell’attuale situazione in costante evoluzione non è sicuramente semplice, ma gode di numeri in crescenti e di un settore sempre più forte, unito e consapevole a livello globale. Anche per questa ragione investire nella canapicoltura oggi, oltre ad essere un’opportunità per cercare la propria fortuna, è un atto di fiducia e riconoscenza nei confronti di una pianta di cui l’uomo non ha dimenticato l’inestimabile valore.

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