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Della lobby invitata da Meloni a parlare di droghe.

Il 26 Giugno, il Governo Meloni ha deciso di trasformare un importante appuntamento internazionale, “la giornata mondiale contro l’abuso di droghe e il traffico illecito”, nell’ennesimo atto di propaganda anti Cannabis.
Ignorando completamente le linee di indirizzo dell’ONU, che chiedono per la ricorrenza del 2023 di agire affinché si interrompa l’approccio stigmatizzante e discriminatorio verso le persone che usano sostanze, la maggioranza non solo ha organizzato un evento ribattezzato Giornata contro le droghe, ma ha inoltre invitato a parlare due discussi esponenti del proibizionismo USA.
Si tratta di Kevin Sabet e Luke Niforatos, presidente e vice presidente della stessa associazione di lobbying, la SAM, acronimo di Smart Approaches to Marijuana, organizzazione impegnata nel contrasto alle politiche di legalizzazione e commercializzazione della Cannabis.

Negli anni, SAM si è contraddistinta non soltanto per le campagne informative e le iniziative di advocacy portate avanti in nome di un approccio basato sulla sensibilizzazione pubblica, ma anche per opache operazioni finanziarie, nonché per la contiguità con figure e realtà di dubbia trasparenza. In più di un’occasione, infatti, la legittimità dei fondi gravitati attorno a SAM si è dimostrata ingiustificata, le operazioni di registrazione dei fondi lacunose, le spiegazioni addotte controverse.
Qualche esempio.
In ambito californiano, SAM ha collaborato a più riprese con Californians for Drug Free Youth (CADFY), a sua volta fra i maggiori sponsor economici di High Intensity Drug Trafficking Area Programs, ovvero la serie di programmi per l’applicazione restrittiva della legge, finanziati dall’Office of National Drug Control Policy, l’ente nazionale responsabile di sviluppo e implementazione delle politiche sulle droghe. Quando, nel 2015, SAM venne incorporata da CADFY, i fondi dichiarati da Sabet risultarono non veritieri, generando il sospetto di intromissioni governative.
In maniera non troppo dissimile, nel 2019, lo Stato di New York contestò a SAM l’acquisizione di finanziamenti che l’organizzazione stessa definì provenienti da figure “anonime e dalle ampie possibilità economiche”, nonostante la dichiarazione degli contribuenti sia per legge obbligatoria. Si scoprì che le cifre provenivano da fonti vincolate a governo e forze di polizia contrarie alla riforma.
Un altro caso peculiare è avvenuto nello scorso Novembre, nel corso della campagna referendaria che ha portato il North Dakota a legalizzare la Cannabis: in quell’occasione, la Healty and Productive North Dakota, attiva sul fronte proibizionista, violò le leggi sulla dichiarazione dei contributi ricevuti. L’unico nome ufficialmente inserito nell’elenco dei finanziatori, e a fronte di una donazione di soli 750 dollari, fu quello di Niforatos, il cui contributo venne espresso in quanto vicepresidente di SAM, a conferma della liquidità, materiale e metaforica, dei rapporti istituiti dall’organizzazione di Sabet.

Il tema degli stanziamenti, ad ogni modo, non esaurisce la complessità della questione, né accenna a chiudere le polemiche.
Risulta necessario soffermarsi anche su alcune figure che compaiono tra i finanziatori di SAM, perlomeno le più ragguardevoli.
Sheldon Anderson, fondatore e CEO di Las Vegas Sands Corporation, fra le più potenti compagnie a livello mondiale nel settore di hotel e casinò, era una di queste, prima della sua scomparsa nel 2021. Classificato da Forbes nel 2020 come il 28esimo uomo più ricco del mondo, Adelson arrivò a fornire un contributo pari a circa cinque milioni di dollari al fine di bloccare le iniziative legislative riformiste intraprese in Stati come Arizona, Florida, Massachussetts e Nevada. Precedentemente, sempre in Florida, Adelson si era parimenti speso in opposizione alla legge volta a legalizzare gli utilizzi terapeutici della Cannabis.
In tale novero di nomi e società appare doveroso inserire Insys Therapeutics, compagnia farmaceutica nota per la distribuzione del fentanyl, un potente oppiaceo fra le principali cause della crisi dei farmaci oppioidi negli Stati Uniti, sotto forma di spray sublinguale; l’azienda si trovò a dover fronteggiare cause legali e accuse penali legate alla mancata attinenza alle regole di commercializzazione del prodotto.
Nel 2020, John Kapoor, fondatore ed ex presidente di Insys, venne condannato a cinque anni di reclusione con l’accusa di corruzione nei confronti di medici e tecnici del settore sanitario, assoldati col compito di facilitare le prescrizioni di Subys, antidolorifico a base di fentanyl.
Un accenno particolare lo meritano, infine, Mel e Betty Sembler.
Prima di fondare e gestire le due società no profit Save Our Society from Drugs e Drug Free America Foundation, i Sembler si erano messi in luce nell’ambito della War on Drugs già tra 1976 e 1993, mediante la gestione di STRAIGHT Inc., organizzazione a capo di diversi centri di trattamento per l’abuso di droghe, principalmente per adolescenti. Secondo varie testimonianze di ex utenti, in quei centri si sarebbero consumate le sevizie più disparate, a partire dal ricorso ad abusi psicologici e a meccanismi di manipolazione, in molti casi accompagnati da stupri e violenze fisiche. Il tutto all’insegna di una logica del controllo sublimata in una sorveglianza costante e ininterrotta nei confronti degli ospiti, anche durante il rito della doccia o l’utilizzo dei servizi igienici, e in un contesto segnato da umiliazioni pubbliche, coercizione e intimidazioni.
A seguito delle accuse, nel 1993 STRAIGHT Inc. venne chiusa: neanche tre anni dopo, la società dei Sembler risorse dalle proprie ceneri con il nome di Drug Free America Foundation, e con una nuova sede legale, in Florida.

Un colosso della distribuzione di fentanyl, due magnati del metodo “catena e bastone” per il trattamento alle dipendenze, il CEO di un impero dei casinò – solo per citarne alcuni: niente male, per chi paventa l’avvento della (supposta) lobby Big Marijuana come la prossima grande minaccia.

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