L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), nell’ambito della cinquantaquattresima sessione dell’Human Rights Council dell’ONU, dedicata alla ”promozione e tutela di tutti i diritti umani, civili, diritti politici, economici, sociali e culturali, compreso il diritto allo sviluppo”, ha pubblicato un report di portata storica, mediante il quale viene ufficialmente chiesto di porre fine alla War on Drugs.
Nel documento, il team di esperti affronta le principali questioni legate ai diritti umani che entrano in gioco in relazione agli aspetti problematici della Guerra alla Droga, fornendo raccomandazioni in vista della realizzazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Il report denuncia fin dal primo capitolo l’impostazione punitiva generata dalle tre convenzioni internazionali poste alla base del controllo proibizionista delle sostanze stupefacenti illecite, con conseguenti palesi violazioni dei diritti umani, nonostante, non più tardi del 2019, una Dichiarazione Ministeriale sottoscritta da tutti gli Stati impegnava questi ultimi a implementare politiche condivise e dall’approccio meno repressivo.
The international guidelines on human rights and drug policy, il documento redatto in tale occasione, frutto della cooperazione fra ONU, OMS, UNAIDS, UNDP, OHCHR rimane dunque ancora sostanzialmente disatteso.
Il World Drug Report 2023 stima che, all’anno 2021, i consumatori mondiali di droghe per via iniettiva siano circa 13,2 milioni, una percentuale del 18% più elevata rispetto alle previsioni.
A livello più generale, le persone che utilizzano sostanze illecite sono 296 milioni, con un aumento pari al 23% rispetto alla decade precedente. Anche il numero di consumatori alle prese con utilizzo problematico è vertiginosamente salito negli ultimi dieci anni, con un tasso pari al 45%: si tratta di 39 milioni di persone.
Il 10% delle infezioni da HIV è riconducibile all’utilizzo di sostanze per via endovenosa, il rischio di contrarre l’HIV per gli utilizzatori è più elevato del 35%.
La fornitura di servizi per il trattamento dell’abuso rimane perciò essenziale per la tutela della salute pubblica: nonostante ciò, le domande di trattamento sanitarie rimangono in gran parte ignorate.
Nel 2021, infatti, solo un consumatore problematico su cinque è stato messo in condizioni di intraprendere un percorso riabilitativo, con disparità evidenti fra una regione geografica e l’altra. Tale divario nei servizi rappresenta una delle maggiori cause degli oltre 600mila decessi annui legati in alcune occasioni a patologie come epatite virale e HIV, in altre a casi di overdose.
Le rilevazioni più recenti hanno segnalato a più riprese la natura coercitiva di alcuni programmi di disintossicazione, attestando allo stesso tempo una riduzione dei finanziamenti a sostegno dei programmi di trattamento a medio-lungo termine e dei servizi inerenti al reinserimento sociale.
In particolare, si è osservato come le legislazioni proibizioniste si siano poste come il principale ostacolo all’assistenza sanitaria, agevolando stigma e marginalizzazione.
Circa il tema della militarizzazione del controllo sulle droghe illegali, viene sottolineata l’escalation nell’utilizzo di queste politiche, giunte al ricorso alla pena di morte in funzione deterrente: in particolare per quel che riguarda le vittime di esecuzioni capitali, il report ribadisce la necessità di misure atte a risarcire le famiglie colpite.
A ciò si aggiungono le considerazioni del Gruppo di Lavoro sulla Detenzione Arbitraria, organismo dell’ONU che ha osservato come la War on Drugs abbia diffuso una vasta cultura della corruzione all’interno delle forze dell’ordine, mediante una guerra alla droga che, di fatto, si è trasformata in una guerra alle persone, in particolar modo nei confronti delle minoranze e delle classi sociali più emarginate.
Conclusioni ribadite nel Marzo 2023 dalla Commission on Narcotic Drugs (CND), la quale ha affermato che decenni di strategie punitive hanno fallito nell’impedire produzione, sviluppo e diffusione delle sostanze illegali, con gravi ripercussioni nei confronti della salute pubblica, aggiungendo che “ogni azione extragiudiziale intrapresa con l’obiettivo di porre le droghe sotto controllo è fondamentalmente contraria alle convenzioni internazionali e al rispetto dei diritti umani”.
Si tratta delle stesse obiezioni mosse a più riprese anche da parte delle ONG.
Secondo l’UNODC, sugli oltre tre milioni di persone arrestate per reati droga-correlati, il 61% è stato incriminato con un’accusa di possesso, mentre il 78% degli individui incarcerati per lo stesso tipo di crimine sconta una pena per traffico, a dimostrazione della frequenza con la quale il semplice possesso venga automaticamente rubricato alla stregua dello spaccio, nonché dell’impatto delle legislazioni proibizioniste in merito al sovraffollamento penitenziario.
Si giunge così alla sezione in cui vengono riassunti i cosiddetti “sviluppi positivi” e “sviluppi alternativi”.
Nel primo caso, premettendo che le politiche di decriminalizzazione e gli interventi di riduzione del danno, considerati parte integrante della tutela della salute, hanno mostrato la loro efficacia a livello internazionale, il report si sofferma sulle pratiche da portare avanti al fine di un congruo rispetto dei diritti umani, identificate nello strumento della depenalizzazione.
Nel secondo caso, si rimanda alle esortazioni della Truth Commission ONU, la quale ha auspicato la regolamentazione di tutte le sostanze, la smilitarizzazione delle aree poste a coltura, l’istituzione di spazi di confronto circa l’impatto delle politiche passate e recenti, infine una rimodulazione degli strumenti di misura atti a valutare quest’ultimo aspetto.
Infine, le raccomandazioni conclusive, suddivise in ventidue punti: fra queste, spiccano la richiesta di adozione di misure alternative alla criminalizzazione (punto A), di istituzione di un modello di accesso legale a tutte le droghe (punto C), di sviluppo delle politiche di riduzione del danno (punto G) e rispettose del gender (punto H), nonché di maggior coinvolgimento delle associazioni civili (punto K) e dell’abolizione della pena di morte per reati droga-correlati (punto S), in vista della realizzazione dell’Agenda 2030.
Il sistema basato sulla proibizione subisce ora un ulteriore colpo capitale, per non dire decisivo: quello dell’Alto Commissariato ONU rappresenta un messaggio che, ora, non è più possibile ignorare, o fraintendere.