Quante volte la storia ci ha riportato momenti di censura e morale, arrivando persino a dire che “alcune canzoni fanno male”, come se l’artista si inventasse una realtà deviata e deviante. Per fortuna ci hanno pensato gli anni ’60 a risvegliare quelle voci libere che non temevano la censura, ma si ribellavano pacificamente alle leggi ingiuste, ognuno con il suo ritmo. Certo, se parliamo di cannabis non possiamo non citare Peter Tosh e Bob Marley che non solo hanno condiviso una parte della loro carriera artistica, ma entrambi si erano convertiti al rastafarianesimo che vede nella cannabis elemento essenziale per i riti religiosi.
Peter Tosh nel 1976 con la sua Legalize It! ricorda come “Doctors smoke it, Nurses smoke it, Judges smoke it, even the lawyer too”, e che è meglio legalizzare, rispetto a giudicare il consumatore. Lo stesso Peter Tosh che secondo lo storico del Reggea Roger Steffens si fece finanziare un album da uno spacciatore, che quando scoprì il titolo “Legalize It!” mostrò qualche rimostranza: “amico così perdo il lavoro!”, per fortuna cambiò idea. Nel 1978 Bob Marley uscì con Kaya, una vera e propria ode alla pianta di cannabis che “gli fa toccare il cielo, in un giorno di pioggia”. Il rapporto di Marley con la cannabis era di forte connessione, e ricorda nei suoi tesi come l’utilizzo ne stimolava la meditazione e il pensiero, portando al benessere della mente: un approccio definibile dal mio punto di vista medico-ricreativo. Sempre nel 1978 in Italia Stefano Rosso presentò Una Storia Disonesta: una sera qualunque in quindici a casa, a parlare dei problemi dello Stato e dell’hashish legalizzato. Ironica e irriverente, è un balletto tra l’ipocrisia del tempo e il vecchio problema della “reputazione”. Alla fine tutto viene ricordato con: “che bello, due amici, una chitarra e uno spinello”.
Nel 1979 Eugenio Finardi entrò maggiormente nelle questioni della realtà sociale legata all’utilizzo della Cannabis, cantando liberamente Legalizzatela. Già a fine anni ’70 ricorda che non è questione di approvazione, che anche chi si buca si fa del male ma non per questo è definibile criminale: “non si può sbattere in prigione”. Oggi combattiamo ancora contro il proibizionismo, sperando di poter presto attingere alle istruzioni d’uso dei Punkreas che con Canapa (2002) ci forniscono il kit musicale per il coltivatore: “Sei mesi di attenzione e cure, per tenere creature”. La vecchiaia poi ti fa pensare a come affrontare la morte: Willie Nelson all’età di 79 anni consiglia un “Roll Me Up and Smoke Me When I Die” (2012), e che le lacrime saranno sostituite da un party tra amici, e ricordi di fumo.
La Cannabis in musica
Di Federica Valcauda
Quante volte la storia ci ha riportato momenti di censura e morale, arrivando persino a dire che “alcune canzoni fanno male”, come se l’artista si inventasse una realtà deviata e deviante. Per fortuna ci hanno pensato gli anni ’60 a risvegliare quelle voci libere che non temevano la censura, ma si ribellavano pacificamente alle leggi ingiuste, ognuno con il suo ritmo. Certo, se parliamo di cannabis non possiamo non citare Peter Tosh e Bob Marley che non solo hanno condiviso una parte della loro carriera artistica, ma entrambi si erano convertiti al rastafarianesimo che vede nella cannabis elemento essenziale per i riti religiosi.
Peter Tosh nel 1976 con la sua Legalize It! ricorda come “Doctors smoke it, Nurses smoke it, Judges smoke it, even the lawyer too”, e che è meglio legalizzare, rispetto a giudicare il consumatore. Lo stesso Peter Tosh che secondo lo storico del Reggea Roger Steffens si fece finanziare un album da uno spacciatore, che quando scoprì il titolo “Legalize It!” mostrò qualche rimostranza: “amico così perdo il lavoro!”, per fortuna cambiò idea. Nel 1978 Bob Marley uscì con Kaya, una vera e propria ode alla pianta di cannabis che “gli fa toccare il cielo, in un giorno di pioggia”. Il rapporto di Marley con la cannabis era di forte connessione, e ricorda nei suoi tesi come l’utilizzo ne stimolava la meditazione e il pensiero, portando al benessere della mente: un approccio definibile dal mio punto di vista medico-ricreativo. Sempre nel 1978 in Italia Stefano Rosso presentò Una Storia Disonesta: una sera qualunque in quindici a casa, a parlare dei problemi dello Stato e dell’hashish legalizzato. Ironica e irriverente, è un balletto tra l’ipocrisia del tempo e il vecchio problema della “reputazione”. Alla fine tutto viene ricordato con: “che bello, due amici, una chitarra e uno spinello”.
Nel 1979 Eugenio Finardi entrò maggiormente nelle questioni della realtà sociale legata all’utilizzo della Cannabis, cantando liberamente Legalizzatela. Già a fine anni ’70 ricorda che non è questione di approvazione, che anche chi si buca si fa del male ma non per questo è definibile criminale: “non si può sbattere in prigione”. Oggi combattiamo ancora contro il proibizionismo, sperando di poter presto attingere alle istruzioni d’uso dei Punkreas che con Canapa (2002) ci forniscono il kit musicale per il coltivatore: “Sei mesi di attenzione e cure, per tenere creature”. La vecchiaia poi ti fa pensare a come affrontare la morte: Willie Nelson all’età di 79 anni consiglia un “Roll Me Up and Smoke Me When I Die” (2012), e che le lacrime saranno sostituite da un party tra amici, e ricordi di fumo.
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