guerra alle droghe: filippine

La guerra alla droga: i morti innocenti

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Di Federica Valcauda

Le immagini di George Floyd, ucciso lentamente da un poliziotto in servizio nel bel mezzo della strada, ci hanno sconvolto nel loro alone di indifferenza. 

Seppur la sua morte abbia motivi totalmente opposti rispetto alla “War on drugs”, ci ricorda come alcune comunità tutt’oggi invisibili siano soggette ad episodi di ingiustizia, che soprattutto in alcune zone del mondo portano alla morte di migliaia di innocenti. 

Dal Messico, passando per l’America latina fino ad arrivare in Asia: la guerra alla droga portata avanti dalle autorità non ha in alcun modo risolto il problema delle sostanze stupefacenti, ma ne ha anzi amplificato aspetti che necessitano di un approccio diverso. 

Dal report di ISAG emerge che in Messico dal 2003 al 2010 la percentuale di omicidi è cresciuta di otto volte, e in questo periodo di lockdown dalle indagini di ADUC si riscontra un aumento degli omicidi relativi a risoluzioni di conti tra cartelli. 

Ma non è solo il Messico o l’America Latina ad aver subito aumenti di consumi dell’uso delle sostanze, incarcerazioni e vittime innocenti all’interno della war on drugs. 

In Asia le detenzioni extragiudiziali, i processi protratti e la pena di morte mai abolita per i reati sulla droga creano delle condizioni di vita complessa anche a chi nulla può; la considerazione base è quella che nonostante la lotta alla droga, i consumi e i traffici nel tempo non sono mai diminuiti. 

Nelle Filippine secondo il rapporto Human Rights Watch sono stati 101 i minori uccisi da Luglio 2016 a dicembre 2018 (ADUC); negli ultimi giorni in particolare proprio l’ADUC ci mette a conoscenza della morte di un bambino di 8 anni Ronjhay Furio coinvolto in una sparatoria di regolamento di conti. 

La famiglia sostiene che queste situazioni avvengono a causa della nuova guerra alla droga messa in atto dal Presidente Duterte: dalla data della sua elezione (Giugno 2016) i morti sono 5.601 tra sospetti trafficanti o consumatori. 

I bambini inoltre vengono penalizzati in modo indiretto a causa della povertà: spesso infatti il “capo della famiglia” viene ucciso a causa di regolamenti di conti, rendendo così i bambini ancora più poveri e ponendo uno stigma sociale su di loro a causa del possibile legame della loro famiglia con i traffici della droga. Ovviamente, molto spesso, alcuni padri si ritrovano in situazioni spiacevoli a causa delle condizioni precarie di vita. 

La guerra alla droga partita nel 1971 da Nixon continua ad essere portata avanti in diversi paesi, con risultati pessimi sia a livello economico che sociale. 

Ormai avremmo dovuto capire che queste misure sono deleteri, e che la repressione non funziona soprattutto quando le morti diventano così numerose, e innocenti. 

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