Tutto quello che c’è da sapere sulla nuova “relazione sulle tossicodipendenze”

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Di Riccardo Giorgio Frega

Negli scorsi giorni è stata finalmente consegnata al Parlamento la “Relazione sulle tossicodipendenze in Italia” per l’anno 2020 stilata dal Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio. Il documento arriva con ben centotrenta giorni di ritardo rispetto agli obblighi di legge e contiene i dati relativi all’anno 2019 (in alcune parti si riferisce addirittura a cifre del 2018).

Prima di commentare brevemente i numeri presentati, che non sono sorprendenti vista la loro scarsa attualità, è necessario fare alcune considerazioni preliminari. Risulta francamente inspiegabile infatti come un ente governativo, che quindi dovrebbe avere un accesso privilegiato ai dati, riesca a consegnare con più di quattro mesi di ritardo un documento già datato quando le associazioni di settore provenienti dalla società civile, ad esempio Fuoriluogo e Forum Droghe, hanno consegnato a giugno relazioni altrettanto approfondite che però contengono già parte delle cifre riferite all’anno 2020. Colpisce inoltre come la pubblicazione non sia stata accompagnata da nessun commento o dichiarazione ufficiale e come non sia nemmeno stata organizzata una conferenza stampa di presentazione per informare l’opinione pubblica.

I numeri contenuti nella relazione ci raccontano di come, a fronte di un leggero aumento delle operazioni antidroga nell’anno 2019, la quantità di sostanze stupefacenti sequestrate sia al contrario fortemente diminuita (123.300 kg nel 2018 contro i soli 55.675 kg nel 2019, meno della metà). Si conferma invece come l’obiettivo dichiarato delle forze dell’ordine nella loro attività di repressione e controllo non sia “la droga”, bensì la cannabis ed i suoi derivati. Ben l’81,6% del totale delle sostanze sequestrate sono marijuana ed hashish mentre solo il 15,1% delle requisizioni riguardano la cocaina. Colpisce come solo lo 0.2% dei sequestri riguardino le droghe sintetiche: un mercato enorme dove, con tutta evidenza, le mafie riescono ad operare sostanzialmente indisturbate. Il trend è confermato dai dati sulle persone segnalate ai prefetti per violazione del Testo Unico Stupefacenti (38.511) dei quali quasi l’80% in possesso di cannabis mentre circa il 16% di cocaina. 

Menzione particolare meritano i numeri sui consumi di sostanze tra la popolazione studentesca. Il 26% degli studenti italiani dichiara di avere consumato sostanze illecite nell’ultimo anno con una netta prevalenza per la cannabis. L’83,8% degli studenti che la ha utilizzata ritiene di poterla reperire facilmente. Quasi l’82% conosce un posto dove potrebbe procurarsela e, tra questi, la maggior parte si rivolgerebbe al mercato della strada. Dato questo che conferma come il mercato dei cannabinoidi nel nostro Paese sia di fatto già libero, ma venga ineluttabilmente appaltato al crimine organizzato.

La Relazione 2020 certifica, ancora una volta, il fallimento delle politiche proibizioniste in Italia tanto nei numeri riportati quanto nell’approccio mentale che inevitabilmente traspare dal documento. Su un totale di quattrocento pagine quelle dedicate alla illustrazione delle attività di prevenzione promosse presso la cittadinanza sono solo quattordici e non vi è nessuna traccia di una qualsivoglia programmazione. Lo stigma proibizionista è evidente a partire dal titolo: relazione sulle tossicodipendenze. Si continua a voler negare l’evidenza scientifica che il grosso del consumo di sostanze stupefacenti, in Italia come nel resto del mondo, non sia affatto problematico, bensì occasionale e controllato. Paradossalmente, al netto del titolo, è la relazione stessa a confermarlo. Sono solo 136.000 le persone che nel 2019 hanno avuto accesso ai trattamenti sanitari (dato falsato per eccesso perché vi rientrano anche coloro che vengono denunciati per detenzione di stupefacenti ad uso personale ex art.75 e quindi costretti al percorso di colloqui psicologici), larga parte di questi sono cittadini presi in carico per consumo di eroina e comunque, se raffrontati ai circa otto milioni di Italiani che assumono sostanze, rappresentano meno del 2% dei consumatori.

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