Una patente per i consumatori di sostanze stupefacenti?

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Negli Stati Uniti sta facendo molto discutere la pubblicazione dell’ultimo libro di Carl Hart intitolato Drug Use for Grown-Ups (Il Consumo di Droghe per Adulti).

Carl Hart ha 54 anni ed è uno dei neuroscienziati più prestigiosi al mondo, professore e ricercatore capo alla famosa Columbia University, noto per le sue ricerche sugli abusi di sostanze ed il consumo problematico. Ciò che sta infiammando il dibattito è il fatto che il professor Hart rivela nel suo libro di fare regolarmente consumo di eroina, a scopo puramente ricreativo, da oltre 5 anni. 

Come può uno stimato membro della società occidentale avere successo professionalmente, essere un marito e un padre premuroso di due figli, essere impegnato politicamente e punto di riferimento nella sua comunità e contemporaneamente essere un assiduo consumatore della droga più temuta e pericolosa sul mercato?

È proprio attorno a questo interrogativo che Hart costruisce la sua provocazione.

La tesi del professore, suffragata dai dati e dalle ricerche svolte nel corso di una carriera trentennale, è che la pericolosità sociale delle sostanze stupefacenti ed il rischio personale correlato alla loro assunzione siano state pretestuosamente ingigantite dalla propaganda proibizionista. È scientificamente dimostrato infatti come solo una piccola percentuale dei consumatori sviluppino una forma di dipendenza grave e questo avviene in un contesto internazionale dove viene fatta pochissima educazione al consumo ed iniziative di riduzione del danno

Per illustrare meglio cosa intende Hart è solito fare l’esempio delle automobili. È come se la nostra società propagandasse e pubblicizzasse i veicoli privati enfatizzando esclusivamente i dati degli incidenti stradali e dei decessi correlati. Se ciò avvenisse l’umanità avrebbe il terrore di mettersi al volante. Anche la guida infatti rappresenta un grande fattore di rischio per l’incolumità degli individui e le automobili sono a tutti gli effetti un pericolo per la società. Per ovviare a ciò tuttavia abbiamo stabilito delle precise regole di circolazione (il codice della strada) ed organizzato una rete capillare di scuole guida al fine di educare all’utilizzo consapevole del mezzo. Abbiamo persino istituito un documento che certifichi l’idoneità alla guida: la patente. Forti di questi  elementi oggi possiamo invitare chiunque a guidare con prudenza ma in relativa sicurezza e con un rischio sociale ridotto. Senza contare i benefici economici ed occupazionali che l’ industria automobilistica, perfettamente regolamentata, genera annualmente.

Secondo Hart lo stesso identico approccio andrebbe applicato alle sostanze stupefacenti.

Egli non nega naturalmente che vi sia una percentuale di rischio connessa all’assunzione di stupefacenti e nemmeno che ogni sostanza abbia le sue caratteristiche peculiari e che quindi sia necessario prevedere forme di regolamentazione diverse. Tuttavia denuncia come i danni del proibizionismo talebano siano ben maggiori a quelli correlati al consumo di droghe facendo specifico riferimento alle violenze perpetrate dal narcotraffico internazionale ai danni delle popolazioni e all’emarginazione sociale che la guerra alla droga ha generato nelle comunità afroamericane.

È interessante notare come la critica di Hart sia indirizzata principalmente alla comunità scientifica stessa, che accusa di essere troppo prudente quando si pronuncia sui rischi correlati all’assunzione. Anche gli scienziati stessi sarebbero infatti influenzati dal tabù proibizionista, e per non destare scandalo o incorrere in critiche, si conformerebbero al condizionamento sociale generale adottando un approccio troppo conservativo e non suffragato dai dati reali contenuti nelle loro stesse ricerche. Queste ultime, fa notare Hart, sono inoltre spesso finanziate dagli stessi enti governativi che impongono le politiche proibizioniste.

Questo evidente conflitto di interessi del committente avrebbe un ruolo determinante nel minare alla radice l’imparzialità e la laicità delle conclusioni scientifiche.

Il libro di Carl Hart è ovviamente provocatorio ma molti elementi delle sue tesi sono suffragati dai dati che ci arrivano dai diversi report internazionali. Aprire una nuova fase di dibattito, rivedere drasticamente l’approccio attuale al fenomeno delle sostanze stupefacenti valutandone oggettivamente l’efficacia è, oggi più che mai, necessario e voci autorevoli come quella del professor Hart non possono far altro che essere un utile propellente in tale direzione.

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